Aspetti regolatori della stampa 3D

3d textGli esempi di utilizzo della stampa 3D per la produzione di dispositivi medici quali protesi impiantabili è una pratica sempre più diffusa tra i chirurghi ortopedici a livello mondiale e gli esempi in letteratura scientifica non sono più casi sporadici.

Nonostante la particolare criticità del rischio legato a un dispositivo impiantabile su misura di classe III, al momento in Europa e in Usa non esistono normative specifiche che regolamentino questi prodotti. «Ricadono ancora tra le attività ricerca e sviluppo», spiega Vincenza Ricciardi, responsabile dell’Area Regulatory Affairs di Assobiomedica. «Si sta cercando di fare presente a livello europeo questa novità di alta tecnologia e la possibilità di sviluppare regole o norme per questo settore, per indirizzare chi ne vuole usufruire».

I nuovi regolamenti sui dispositivi medici e i diagnostici in vitro, attualmente in fase di finalizzazione da parte della Commissione e del Parlamento europeo e la cui emanazione è attesa entro il primo semestre 2016, sono infatti nati ben prima dell’affermarsi della stampa 3D in campo biomedicale e, quindi, non la prendono in considerazione come potenziale tecnologia. Chi oggi produce e utilizza protesi impiantabili prodotte in stampa 3D deve ricorrere alla procedura di autorizzazione per i dispositivi su misura, descritta nell’Allegato VIII dell’attuale direttiva: il dispositivo, in particolare, deve essere progettato e realizzato in conformità con i requisiti essenziali di sicurezza validi per tutti i dispositivi medici e riportati nell’Allegato I della direttiva medesima. La domanda è vagliata direttamente dalle autorità competenti, il Ministero della Salute per l’Italia, in questo caso senza l’intervento di un organismo notificato. Il dispositivo custom made che risponde ai requisiti è autorizzato all’uso senza però ottenere la marcatura CE, e deve essere corredato di etichettatura a norma, libretto d’istruzioni e dichiarazione di conformità del fabbricante. «Usiamo la definizione di custom made in modo improprio, in realtà si tratta di una tipologia di dispositivi su misura molto particolare che richiedono approvazioni ad hoc. Il Ministero deve conoscere i dati del paziente (anche sotto forma di acronimo o codice alfanumerico, ndr) e la patologia, l’ospedale e il medico che utilizzeranno il dispositivo. Deve essere redatta una dichiarazione di non esistenza sul mercato di prodotto similare e l’assunzione di responsabilità da parte del medico per l’utilizzo del prodotto, oltre all’assunzione di responsabilità del fabbricante. Dopo l’uso bisogna verificare e controllare i risultati ottenuti e inviare un resoconto al Ministero sull’andamento del trattamento; se invece, per vari motivi, il dispositivo non è stato usato deve essere distrutto. La produzione deve comunque seguire un criterio di buona fabbricazione e di analisi di rischio nei confronti dell’utilizzatore, del paziente o di terze parti. Tutta la documentazione a supporto del prodotto deve essere archiviata dal fabbricante, come se fosse un prodotto di serie. Dove non esiste una legge o norma ad hoc si utilizzano le leggi o norme parallele, come per esempio le Good Manufacturing Practices e le Good Clinical Practices», sottolinea Vincenza Ricciardi.

Un gruppo europeo

La Commissione Europea ha istituito da circa un anno un apposito gruppo d’interesse sulla stampa 3D nell’ambito dell’iniziativa NET (New and Emerging Technologies), nata per esplorare le nuove tecnologie nel campo dei dispositivi biomedicali. Il chairman del 3D Printing special interest group è l’italiano Roberto Liddi, esperto del settore che da vent’anni lavora nel Regno Unito, attualmente in un’azienda specializzata nelle applicazioni della stampa 3D per l’implantologia dentale e le ricostruzioni maxillo-facciali. La vera novità non è, spiega Liddi, la stampa 3D in sé (la tecnologia è nata negli anni Ottanta del secolo scorso), ma solo le sue applicazioni in campo biomedicale. «Dalla nascita dell’attuale direttiva, nel 1993, molte nuove tecnologie sono entrate nella produzione di dispositivi medici», spiega Liddi. «La Commissione Europea ha fondato il NET per capire le dinamiche a livello di evoluzione tecnologica dei dispositivi. Il gruppo all’inizio si è occupato di nanotecnologie e diagnostica in vitro. Circa un anno fa la stampa in 3D ha iniziato ad affermarsi ed è stata inizialmente considerata all’interno del gruppo sulle nanotecnologie, poi è stato creato il 3D Printing special interest group. L’applicazione più evidente è nell’ortopedia, ma la stampa 3D è iniziata da ben altro in campo biomedicale».