L’età media della popolazione è in costante aumento e così sono sempre di più le persone che sviluppano patologie articolari alla spalla legate all’invecchiamento, come l’artrosi, ma non solo.
L’approccio è inizialmente di carattere conservativo, arrivando a intervenire con una protesizzazione solo nel momento in cui la funzionalità della spalla è troppo compromessa e/o il dolore incide sulla qualità di vita del paziente.

Un impianto di protesi di spalla può essere di tipo anatomico, ovvero mimare la forma dell’articolazione naturale, oppure di tipo inverso. In questo secondo caso, la protesi ha una forma invertita rispetto all’articolazione nativa.
Le due tipologie di protesi servono a pazienti tra loro differenti: nel primo caso i muscoli della cuffia dei rotatori sono conservati e possono ancora svolgere il proprio lavoro; nel secondo, invece, questi muscoli sono totalmente rovinati e quindi la protesi – e di conseguenza la spalla – viene mossa dal deltoide, che invece normalmente non è in grado di attivare i normali movimenti della spalla in assenza della coppia di forze generata dai muscoli della cuffia dei rotatori.

«È intuibile che se il movimento di una spalla con protesi anatomica sarà del tutto simile a quello di un’articolazione naturale, quello di una protesi inversa avrà invece delle sue peculiarità», spiega il dottor Ettore Taverna, responsabile dell’Unità Operativa di Chirurgia della Spalla presso l’Irccs Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano (Gruppo San Donato).
Uno degli aspetti sempre più spesso posti all’attenzione del chirurgo è la possibilità di tornare a una vita sportiva piena. Più di uno studio in letteratura ha affrontato l’argomento, anche mettendo a confronto il tasso di ritorno allo sport tra protesi anatomica e inversa, in pazienti over 65.

Ettore Taverna

In questi studi, i pazienti sono spesso altamente soddisfatti e sostengono di aver ripreso la pratica sportiva a un livello uguale a quello antecedente l’intervento, se non migliore. Di norma la protesi anatomica è più funzionale in questo contesto, anche se non mancano studi che sottolineano la ripresa sportiva anche in pazienti con protesi inverse.
Certo, la ripresa sportiva ha alcune limitazioni: per esempio, i chirurghi sconsigliano fortemente gli sport di contatto, ma nuoto, ginnastica, golf e tennis possono in molti casi essere ancora praticati dai pazienti a distanza di alcuni mesi dall’intervento.

Il dottor Taverna, però, ha un punto di vista differente: «nella mia esperienza posso confermare che le protesi anatomiche consentono una migliore ripresa sportiva, ma difficilmente vedo un ritorno completo allo sport. Parlando di nuoto, per esempio, lo stile delfino non può più essere praticato, ma anche quando un paziente pratica gli altri stili difficilmente riesce a mantenere il livello di intensità e tecnica che aveva prima della patologia».
Certo, la riabilitazione ha un ruolo fondamentale nella ripresa sportiva. In ogni caso, quando un paziente over 65 si presenta con un problema di spalla e necessita di un intervento di protesizzazione è importante mettere in chiaro anche questi aspetti.

Stefania Somaré