Frequente in particolare tra i 55 e i 65 anni, soprattutto nel genere femminile, la rizoartrosi rappresenta il 10% di tutte le artrosi ed è la più diffusa, dopo anca, ginocchio e colonna vertebrale. Dopo i 70 anni diventa invece l’artrosi più diffusa, interessando una donna ogni 4 e un uomo ogni 12.
Questa particolare artrosi può presentare una predisposizione anatomica, quindi di carattere genetico.
Inoltre, l’articolazione data dal trapezio e dal metacarpo può risentire dell’usura data da lavori ripetitivi, come l’uso di forbici o cesoie.
La sintomatologia è caratteristica: gonfiore alla base del pollice, unito a dolore, calore e difficoltà funzionali che si traducono spesso in disabilità e perdita di autonomia nel gestire le piccole faccende di casa.
Novità nel trattamento
Come le altre forme di artrosi, anche nel caso della rizoartrosi i primi trattamenti sono di carattere conservativo, atti a ridurre infiammazione e dolore.
In questa fase ci si affida quindi a terapie farmacologiche, sistemiche o infiltrative, o fisiche, come guanto di paraffina caldo, tecar, raggi infrarossi e laser terapia. A questi trattamenti si possono affiancare dei tutori termoplastici che «stabilizzano l’articolazione, spesso instabile in questi pazienti. Questi tutori possono essere commerciali o custom made. Quelli di ultima generazione non bloccano tutto il pollice, ma stabilizzano solo la base del metacarpo», spiega il professor Lorenzo Rocchi, associato di Malattie dell’apparato locomotore all’Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore della UOC di Ortopedia e Chirurgia della mano di Fondazione Policlinico Gemelli IRCCS.
Con la progressione dell’artrosi, si arriva a un punto in cui la chirurgia diventa la sola alternativa possibile. «In passato – riprende il professor Ronchi – c’era solo l’intervento di artrodesi con viti o cambre metalliche, che toglieva il dolore, ma bloccava l’articolazione», o l’uso di interventi di tenolastica che, pur se efficienti, richiedono spesso «un periodo di invalidità post-operatoria medio-lunga e possono dare una perdita parziale della forza prensile, dovuta alla minor stabilità della legamento-plastica, rispetto all’articolazione originale, nel sostenere il metacarpo».
La protesi di pollice
In una parte dei pazienti con rizoartrosi, si può intervenire con l’impianto di una protesi che sostituisce l’articolazione alla base del pollice: si tratta di una protesi modulare, come spiegato sempre dal professor Ronchi, e formata quindi da uno stelo, un collo, la testa e la coppa, su ispirazione della protesi di anca. Per favorire l’osseointegrazione, stelo e coppa sono prodotti in materiale poroso. Come per la protesi d’anca, esistono diverse misure che permettono di costruire la protesi perfetta per l’anatomia del singolo paziente.
Infine, queste protesi possono essere dotate della «”doppia mobilità“, che riduce fin quasi ad azzerare il rischio di lussazione. Per eseguire la protesizzazione non è necessario asportare il trapezio. Si effettua solo una resezione di alcuni millimetri della base del metacarpo ed una regolarizzazione delle superfici riceventi. Questo permette di contenere in pochi millimetri la via di accesso chirurgica e quindi di ridurre il dolore post-operatorio», conclude il professor Ronchi. A seguito dell’intervento una fase riabilitativa, come per le altre protesi.
Vi sono alcuni pazienti per cui non è adatta la protesi, per esempio, per coloro che svolgono lavori manuali pesanti, ma anche per coloro che hanno un’artrosi troppo avanzata, magari diffusa anche alle altre dita della mano.
In questi casi, come ricorda il professor Ronchi, si utilizza ancora la trapeziectomia totale.
Fonte: CS Gemelli