Quando nei primi anni 2000, da studente del Politecnico, per la prima volta vidi una stampante 3D, capii subito di trovarmi di fronte a qualcosa di realmente dirompente. Si trattava di una particolare tecnologia che permetteva di tagliare e incollare, sovrapponendoli, fogli di carta in modo da costruire un oggetto tridimensionale strato su strato: un rudimento rispetto a quanto siamo abituati oggi, ma per i più un qualcosa di mai visto prima.
Oggi la tecnologia additiva, almeno nelle sue varianti più comuni come la stampa FDM a filamento, è sdoganata e conosciuta anche dai non addetti ai lavori. Ciononostante, per quanto mi riguarda continua a essere avvolta da un fascino che raramente mi è capitato di percepire in altre tecniche. Fascino dato dal vedere concretizzarsi dal nulla una propria idea, vederla crescere e poi toccarla, passare da uno schizzo su carta a un oggetto concreto in poche ore.
Più volte mi è capitato di sottolineare come questa tecnologia sia particolarmente adatta al mondo delle tecniche ortopediche, ne rappresenti il futuro in quanto perfetta per ogni contesto in cui si richieda la produzione di pezzi singoli e non in serie. In un laboratorio ortopedico, infatti, ogni realizzazione è su misura, personalizzata sulle esigenze del paziente. Un pezzo unico, appunto, perfetto per essere costruito attraverso un metodo che, per definizione, non necessita delle attrezzature invece indispensabili nella produzione seriale.
Perfetta sì, ma solo nell’ottica di un cambio di paradigma nella reale concezione della professione, che nei prossimi anni dovrà completare un processo di digitalizzazione e ammodernamento finora solo iniziato. A partire dalla formazione accademica, nei cui percorsi di studi dovranno integrarsi nuove tecnologie e processi tradizionali, per non perdere il tesoro acquisito in anni di sviluppo della professione, ma, al contrario tramutarlo in qualcosa di attuale e sempre più proiettato verso una concezione integrata dei processi riabilitativi. In questo senso, la tecnologia additiva si inscrive in un’idea di riabilitazione che, attraverso la raccolta, l’analisi e l’utilizzo di dati biometrici del paziente, conduce a una sempre più efficace personalizzazione delle cure che è capace di coinvolgere tutte le figure professionali in questo impegnate e di cui il tecnico ortopedico necessariamente deve far parte.
È indispensabile un’evoluzione delle sue competenze, senza perdere quanto ottenuto in passato, ma adattandolo a nuovi scenari che stanno già diventando realtà.
Mi piace immaginare il ruolo del “nuovo” tecnico ortopedico in una sequenza di attività che ne caratterizzano i differenti aspetti della professione, passando dall’analisi biometrica del paziente, attraverso dispositivi sempre più sofisticati come pedane baropodometriche e sensori di differente natura, all’acquisizione dimensionale del segmento anatomico attraverso scanner tridimensionali, per passare alla progettazione del dispositivo ortesico attraverso software CAD e alla sua realizzazione con tecnologia additiva.
E se ci si volesse spingere oltre? Perché non immaginare un presidio ortopedico realizzato su misura e che sia capace di “dialogare” con il paziente, istruendolo a un corretto uso e raccogliendo dati utili al monitoraggio del suo stato di salute? Troppo avvenieristico? Non credo. Le tecnologie sono già tutte disponibili e la loro diffusione in altri ambiti le ha rese sempre più accessibili. Sensorizzare un prodotto ortesico oggi è possibile, domani sarà necessario se si vorrà mantenere la professione al passo con i tempi e non rischiare di vederla annegare nel novero di altre discipline che già hanno intrapreso questo processo di innovazione.
Quella di tecnico ortopedico è l’unica professione sanitaria che realmente integra competenze di area medica a altre progettuali e produttive, la conoscenza dell’anatomia e della biomeccanica alla scienza dei materiali e alle tecniche realizzative, un vantaggio che deve diventare il punto di partenza per il proprio futuro.
Sono estremamente innamorato delle tecnologie che negli ultimi anni hanno radicalmente cambiato il mio modo di lavorare, ne ho toccato con mano il valore e percepisco quanto potranno dare in un futuro a breve termine, in uno scenario in cui telemedicina e teleriabilitazione, intelligenza artificiale, IOT e tecnologia additiva si renderanno protagoniste di una distribuzione dei processi riabilitativi sul territorio, a casa se non addirittura addosso al paziente.
La strada è intrapresa, il percorso inevitabile, i benefici certi. Se guardiamo bene, il nuovo tecnico ortopedico è già nato: deve solo prenderne consapevolezza.