Osteoday 2020 è stato l’occasione per fare il punto della situazione sull’osteoporosi, condizione che colpisce soprattutto la popolazione anziana con un’incidenza dell’80%, se si considerano i dati radiografici, e del 30-35% se si prendono in considerazione i sintomi.
Parliamo di 4,5 milioni di cittadini italiani, di cui i 2/3 sono donne.
La fragilità ossea è la prima conseguenza di questa patologia il cui progresso, se individuata per tempo, potrebbe essere in parte rallentato.

Purtroppo, si evidenziano ancora ritardi nelle diagnosi. Bruno Frediani, professore ordinario di Reumatologia all’Università di Siena e responsabile scientifico di Osteoday 2020, ricorda che «l’80% dei pazienti con osteoporosi arriva in ritardo alla diagnosi anche quando quest’ultima avviene a seguito di una frattura del femore, che dovrebbe far nascere il sospetto.
A maggior ragione, pertanto, si tende a trascurare l’impatto delle fratture vertebrali che, nella metà dei casi, sono silenti o paucisintomatiche.
Per questo motivo è fondamentale una valutazione approfondita dei fattori di rischio: età, predisposizione genetica, presenza di patologie infiammatorie concomitanti, assunzione di specifiche categorie di farmaci, cambiamenti ormonali, senza trascurare che il calo degli estrogeni, tipicamente associato alla menopausa, interessa anche l’uomo.
Una strategia diagnostica efficace dovrebbe prevedere – a partire dai 60 anni per la donna e dai 70 anni per l’uomo – l’esecuzione di un esame radiologico della colonna, da ripetersi ogni due anni, finalizzato a valutare l’eventuale abbassamento del corpo vertebrale, per prevenire il rischio di ulteriori fratture».

I ritardi diagnostici non sono l’unico problema, però. Altri aspetti critici sono la prescrizione di una terapia adeguata e l’abbandono terapeutico: solo 2 pazienti su 10 ricevono la terapia adeguata e il 50% dei pazienti smette di prendere i farmaci dopo un anno dalla diagnosi.
Riprende Fedriani: «il trattamento dell’osteoporosi dovrebbe sempre prevedere l’associazione di farmaci anti-fratturativi, bisfosfonati in prima linea, e vitamina D. La sola terapia d’integrazione con la vitamina D, infatti, si è dimostrata inefficace nella prevenzione delle fratture. Un monito, questo, per gli specialisti ma anche per i pazienti».

Stefania Somarè