Tra le articolazioni del corpo umano la caviglia è quella caratterizzata forse dal più complesso sistema legamentoso, formato in totale da sette legamenti, dei quali quattro si trovano in posizione mediale e tre in posizione laterale.
Insieme a perone, tibia e talo (astragalo), questi legamenti permettono la dorsiflessione e la plantarflessione del piede e, in ultima analisi, il passo.
Altra caratteristica della caviglia è la sua capacità di sostenere il peso del corpo: è quindi sottoposta, insieme alle articolazioni del piede, a una forte pressione.
Non è un caso, quindi, se la caviglia può andare incontro di frequente a traumi anche nella vita di tutti i giorni: la distorsione è senza dubbio quello più comune.

Secondo la Società Italiana della Caviglia e del Piede (SICP), la distorsione di caviglia interessa nell’80% dei casi il comparto esterno, in particolare il legamento peroneo-astragalico anteriore, il legamento posteriore e il legamento peroneo-calcaneare.
Nella maggior parte dei casi i legamenti subiscono solo uno stiramento e comunque possono essere trattati in modo conservativo.
In alcune situazioni occorre, invece, intervenire chirurgicamente.
Nel 20% dei casi una distorsione di caviglia può portare allo sviluppo di un’instabilità articolare.
Ciò avviene soprattutto in soggetti recidivi a questo tipo di distorsione.
In generale, l’instabilità di caviglia è percepita dal soggetto come un cedimento durante il passo o la corsa, soprattutto se condotti su un terreno irregolare.
Importante, in questi casi, è verificare l’allineamento tra caviglia e piede, anche con la richiesta di appositi esami diagnostici sotto carico.

Se non trattata adeguatamente, l’instabilità di caviglia può divenire cronica, impattare sull’equilibrio del soggetto predisponendolo a nuove distorsioni e portare a ulteriori problemi del comparto come osteoartrosi di caviglia, diminuzione dell’attività fisica e riduzione della qualità di vita. In taluni casi, si possono avere anche disabilità.
Tra gli interventi conservativi vi sono la fisioterapia, le terapie manuali e gli agenti elettrofisici, ma il taping kinesiologico e i tutori sono probabilmente i metodi più utilizzati. Qual è la scelta migliore? Alcuni lavori scientifici di recente pubblicazione hanno provato a rispondere a questa domanda.

Uno studio iraniano

Uno studio controllato randomizzato della Shiraz University of Medical Sciences in Iran ha coinvolto sessanta pazienti affetti da instabilità di caviglia cronica dividendoli in quattro gruppi, ognuno destinato a un diverso tipo di intervento.
Il primo gruppo è stato trattato con un taping kinesiologico, il secondo con un tutore morbido, il terzo con uno semirigido e il quarto non ha ricevuto trattamento alcuno, fungendo quindi da controllo.
L’equilibrio statico e dinamico di ogni paziente è stato misurato prima e dopo quattro settimane di trattamento, utilizzando vari test: Star Excursion Balance Test modificato, single leg hop test e single leg stance.
Vediamo, quindi, più nel dettaglio in che modo sono stati trattati i diversi gruppi.

Il primo gruppo, dicevamo, ha utilizzato un taping kinesiologico.
Il protocollo iraniano prevedeva che il taping venisse cambiato con regolarità sempre dallo stesso professionista esperto, per non inficiare i risultati, e con il piede in lieve plantarflessione.
Secondo l’articolo, la prima striscia era posizionata tra la parte mediana anteriore del piede e la tuberosità tibiale, passando sul muscolo tibiale anteriore.
La seconda striscia partiva da sopra il malleolo mediale per raggiungere la testa del perone, passando sul calcagno.
La terza striscia andava da un malleolo all’altro, passando sul collo del piede.
Queste prime tre strisce erano tirate al 75%.
L’ultima striscia, allungata al 50%, partiva dalla tuberosità dell’osso navicolare per giungere in prossimità del malleolo laterale.

Il secondo gruppo è stato trattato con un supporto per caviglia con strappo e il terzo con un tutore di caviglia attivo: a entrambi i gruppi è stato chiesto di indossare i tutori durante ogni attività fisica.
Questo studio non ha trovato grandi differenze tra i tre gruppi, tanto che gli autori concludono che i tre metodi di trattamento sono tra loro equivalenti, lasciando quindi la scelta al professionista.

Il commento dell’esperto

Secondo Massimo Calabrese, fisioterapista che da anni utilizza il taping nella propria pratica clinica, lo studio sopra descritto è di buona qualità, anche se è difficile apprezzare la qualità della fasciatura fatta con il taping.
«Rispetto a un tutore, anche funzionale, il taping agisce sulla stabilità articolare inviando al paziente dei feedback di tipo propriocettivo: il paziente sente, in qualche modo, quando sta usando male la caviglia e tende ad aggiustare il movimento e la postura».
Un fatto che, a sua volta, si ripercuote sulla forza muscolare, che può agire per stabilizzare una caviglia instabile.

«Generalmente», riprende Calabrese, «preferisco usare il taping ogni volta che il paziente deve passare da una fase di immobilità – per esempio perché è stato sottoposto a un intervento o perché ha subito una lesione legamentosa di caviglia – al movimento della vita quotidiana. Il taping offre, infatti, un sostegno di transizione che aiuta il paziente a recuperare equilibrio e stabilità.
Senza dimenticare che questo strumento è molto utile sul riassorbimento degli ematomi, spesso negativi per la ripresa funzionale.

Inoltre, il taping può essere di supporto psicologico a quei pazienti che hanno paura, per esempio, di andare incontro a nuove distorsioni nel tornare alla propria attività fisica.
Se necessario (ma io preferisco non farlo), il taping può anche agire da bendaggio funzionale».
Il taping si rivela migliore di molti tutori anche nell’ambito sportivo.

«Sono molti gli sportivi che si procurano una distorsione di caviglia e che vanno incontro a instabilità articolare. Nel loro caso il taping, oltre ad agire come stabilizzante nella vita quotidiana, può essere d’aiuto anche nella pratica stessa: esistono tecniche che permettono, infatti, di favorire un certo movimento rispetto a un altro.
In questa modalità, certamente, il taping deve essere applicato prima della sfida e subito dopo tolto».

La validità del taping in questo ambito è stata confermata di recente da un altro studio condotto a Taiwan.

Il taping nell’atterraggio dopo un salto

Nel loro lavoro, i ricercatori hanno coinvolto 33 giovani atleti con instabilità di caviglia per capire quale fosse il miglior sostegno possibile per migliorarne l’atterraggio su una sola gamba, un’azione sportiva che caratterizza diverse discipline, dall’atletica al calcio, dalla pallavolo al tennis.
Anche in questo caso sono stati testati un tutore di caviglia con lacci e il taping kinesiologico, suddividendo i partecipanti in tre gruppi (uno era di controllo).
La letteratura indica nei tutori di caviglia uno strumento utile per limitare gli eventi traumatici in una caviglia instabile, in particolare l’inversione, ma lo stesso fa anche per il taping.
Il protocollo di studio prevedeva che i partecipanti effettuassero un salto con atterraggio laterale su gamba singola prima e dopo aver messo sotto sforzo la caviglia.
L’intento era vedere l’effetto dei dispositivi utilizzati.
Tutti indossavano scarpe standard.
Per quanto riguarda il taping, in questo caso sono state usate tre strisce: la prima è stata posizionata sul muscolo tibiale anteriore ed è stata messa con la caviglia in plantarflessione ed eversione; la seconda, posizionata sul muscolo lungo del peroneo, è stata messa con la caviglia in dorsiflessione e inversione.

L’ultima striscia è stata posizionata, invece, sui due ventri del gastrocnemio, dall’origine all’inserzione, per prevenire una contrazione eccessiva.
In questo caso, le strisce non avevano tensione.
I risultati di questo studio indicano che il tutore potrebbe inibire la capacità della caviglia di assorbire l’impatto con il suolo durante l’atterraggio, il che può a sua volta facilitare l’evento distorsione.
Al contrario, il taping kinesiologico consentirebbe un migliore controllo posturale durante l’atterraggio e anche durante gli allenamenti.

Sono sempre più numerosi gli studi che evidenziano l’efficacia fisioterapica, e non solo, del taping. Se fino a qualche anno fa si pensava esistesse un effetto placebo collegato a questo dispositivo, ora sono sempre di più coloro che vi vedono delle azioni funzionali vere e proprie, come la stimolazione propriocettiva di cui abbiamo già detto, ma anche una stimolazione del sistema linfatico che agisce positivamente sulle infiammazioni e sugli ematomi.

«È proprio osservando la velocità con cui un taping ben posizionato permette il riassorbimento di un ematoma che mi sono convinto, ormai una quindicina di anni fa, dell’efficacia di questo strumento», conclude Calabrese, «e negli anni l’esperienza ha rafforzato questa convinzione».

Stefania Somaré