Il Parkinson è la seconda patologia neurodegenerativa più diffusa nel nostro Paese, con circa 300 mila pazienti, molti dei quali anziani e grandi anziani: l’esordio del Parkinson si verifica spesso tra i 45 e i 55 anni, ma dato che questa patologia non è mortale è comunemente diffusa nell’anziano.

L’età del paziente parkinsoniano è di interesse per tutto il settore ortopedico, perché in questi soggetti il maggior rischio di caduta, dato per esempio dal freezing, si associa alla fragilità ossea, determinando un aumentato rischio di frattura.

Inoltre, i pazienti parkinsoniani possono incorrere in difficoltà durante la fase riabilitativa che segue alla guarigione dell’osso. La domanda che sorge è, quindi, se la presenza di Parkinson possa incidere negativamente sul buon esito della guarigione di una frattura.

Il tema è stato affrontato di recente da uno studio condotto dal Polo riabilitativo geriatrico di Cinisello Balsamo (Milano), che si concentra in particolare sulla frattura d’anca, mettendo a confronto i risultati ottenuti con la riabilitazione in 60 pazienti affetti da Parkinson, o altri parkinsonismi, con quelli di 60 pazienti senza tale condizione patologica. Lo studio è disponibile sullo European Journal of Medical Research.

Minori risultati per i pazienti affetti da Parkinson

Tutti i pazienti arruolati in questo studio retrospettivo hanno subito una chirurgia riparativa per la frattura d’anca, venendo poi ammessi al Polo riabilitativo geriatrico di Cinisello Balsamo per la successiva fase riabilitativa, composta da sessioni supervisionate dal terapista 6 giorni su 7, della durata di 45-50 minuti ciascuna, e basate su rieducazione al passo, allenamento dell’equilibrio, rinforzo progressivo della muscolatura e pratiche di trasferimento.

Le sessioni per i pazienti affetti da Parkinson o similari sono state effettuate, quando possibile, durante la fase ON. Gli esiti della riabilitazione sono stati valutati con una serie di indici, misurati al momento dell’ammissione e della dimissione.

In particolare, il team ha utilizzato l’indice di Barthel modificato e la scala di Rankin modificata. Il confronto tra le misure di questi indici tra i pazienti con Parkinson o parkinsonismi e i pazienti di controllo mette subito in evidenza le prime differenze: i pazienti affetti dal morbo di Parkinson o affini, infatti, presentano indici inferiori degli altri, sia all’ammissione sia alla dimissione.

Gli autori hanno anche appurato che i soggetti con gli esiti peggiori sono quelli con patologie simil-parkinson. Risulta, quindi, confermato che, in presenza di frattura d’anca, le condizioni associate al Parkinson e alle malattie affini incidono negativamente sul recupero riabilitativo post-operatorio.

A questo punto gli autori hanno indagato ulteriormente per capire se ci sono fattori indipendenti che incidono su questo risultato.

L’importanza dei sintomi non motori

Grazie a modelli lineari a effetti misti, gli autori hanno esplorato le possibili associazioni tra le variabili cliniche e i risultati ottenuti con la riabilitazione. Tra le variabili cliniche figurano, per esempio, la diagnosi e la presenza di altre condizioni, come demenza, disfagia e instabilità posturale.

I risultati di questa indagine confermano che, nei pazienti con sintomi parkinsoniani, tutte e tre le variabili considerate si associano indipendentemente a risultati riabilitativi anche peggiori.

Ciò vale sia per i sintomi motori che per quelli non motori, come la disfagia e la demenza, suggerendo che il team riabilitativo tenga conto anche di questi nel progettare il percorsi riabilitativo per il singolo paziente.

Scamarcia, P.G., Ambrosi, F., Demontis, A. et al. Neuromotor rehabilitation in Parkinsonian syndromes: outcomes and disability after hip fracture. Eur J Med Res 30, 1002 (2025). https://doi.org/10.1186/s40001-025-03294-9

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