Dolore persistente all’anca e difficoltà nei movimenti quotidiani sono segnali da non sottovalutare. Ma che cosa si intende davvero con “anca dolorosa”? E quando ci si deve sottoporre all’operazione?
Con l’espressione “anca dolorosa“, spiegano gli ortopedici della SIOT (Società italiana di ortopedia e traumatologia), si intende un sintomo che può essere espressione di patologie che effettivamente coinvolgono l’articolazione dell’anca, ma anche di condizioni patologiche che, invece, riguardano i tessuti in prossimità dell’articolazione come muscoli, tendini, borse. Queste ultime hanno solitamente un’evoluzione benigna e prevedono dei percorsi medici e riabilitativi che devono essere personalizzati ed effettuati sotto la guida di persone esperte. «Le patologie articolari vere, invece, tendono a progredire – spiega Alessandro Massé, Direttore UOC Ortopedia e Traumatologia 1U, AOU Città della Salute e della Scienza-CTO di Torino, ed esperto SIOT per la Chirurgia Protesica –. Esistono diverse gradazioni di danno della cartilagine e delle altre strutture articolari che, in un tempo variabile, possono portare all’artrosi. Molte di queste forme possono essere legate a fattori predisponenti congeniti, come malformazioni di diversa entità. Al contrario, le variabili legate al sovrappeso, all’attività lavorativa o a quella sportiva possono accelerare la progressione del danno: sovraccarichi eccessivi o movimenti estremi possono concorrere al peggioramento del danno articolare. Altre forme di danno articolare sono riconducibili a traumi importanti, a malattie infiammatorie (poco noto ma frequente è, ad esempio, il coinvolgimento articolare nella psoriasi) o a problemi vascolari localizzati».
L’artrosi classica nelle sue manifestazioni conclamate si evidenzia per lo più nell’età adulta, con uguale frequenza nei due sessi: «I quadri di danno articolare iniziale, invece, possono dare i primi sintomi in età giovanile, o addirittura pediatrica, se sono presenti patologie o malformazioni che producono un precoce danno delle strutture articolari: la cosiddetta pubalgia dei giovani sportivi, spesso è espressione di un iniziale danno articolare», precisa Massè.
Quando si evidenzia un difetto strutturale dell’anca è possibile effettuare interventi chirurgici per eliminare il difetto prima che questo produca un danno della cartilagine. Si tratta di interventi complessi e di invasività variabile, finalizzati a ritardare anche di molto l’insorgenza dell’artrosi e, quindi, la necessità di ricorrere a una protesi d’anca. Molti passi avanti sono stati fatti nelle tecniche artroscopiche, realmente mini-invasive, ma a volte si rendono necessari complessi interventi di invasività anche elevata, soprattutto in età pediatrica e nei giovani adulti, finalizzati a correggere le anomalie più severe attraverso delle fratture controllate di femore e bacino, le osteotomie.
Gli interventi di protesi all’anca in Italia
Negli ultimi decenni in Italia è stato registrato un costante incremento di interventi di protesizzazione dell’anca, che ha superato abbondantemente i 100.000 casi ogni anno. «Questo in parte è dovuto all’invecchiamento della popolazione – interviene Pietro Simone Randelli, presidente della Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia-SIOT, Ordinario di Ortopedia dell’Università degli Studi di Milano e Direttore della Clinica Ortopedica dell’Istituto Gaetano Pini – e in parte all’incremento di richieste da parte dei pazienti che mal tollerano le limitazioni derivanti dall’artrosi e vogliono rapidamente recuperare una buona qualità di vita: è sempre fondamentale che il paziente sia informato sulla reale entità dell’intervento e sulle possibili, anche se rare, complicanze. A volte, purtroppo, le aspettative del paziente non sono realistiche per una incongrua informazione da parte di “dottor Google”».
La protesizzazione dell’anca è un intervento di grande diffusione e straordinario successo, tanto che, già nel 2007, l’autorevole rivista scientifica Lancet lo ha definito “l’intervento del secolo” per il rapporto estremamente favorevole tra rischi e benefici.
Complicanze e recupero post protesizzazione d’anca
Grazie allo sviluppo delle tecniche chirurgiche e anestesiologiche, il tasso di complicanze è molto basso e il recupero estremamente veloce. Si tratta comunque di un intervento di chirurgia ortopedica maggiore per il quale la mini invasività riferisce al risparmio dei tessuti e al più rapido recupero funzionale, ma non ad un intervento di piccola complessità. «L’intervento – precisa Massè – deve essere effettuato quando il paziente ritiene che la sua qualità di vita non sia più accettabile per la sintomatologia dolorosa e la limitazione funzionale; non si tratta di un intervento preventivo e, quindi, se il paziente con poche accettabili limitazioni mantiene una buona qualità di vita, può essere procrastinato senza che questo comporti un risultato peggiore. L’intervento oggi viene effettuato a qualsiasi età, anche in considerazione dell’aspettativa di durata degli impianti molto migliorata».
Negli ultimi decenni si sono realizzati costanti e significativi progressi nelle tecniche chirurgiche e nell’affidabilità dei materiali: questo ha portato a una più rapida ripresa funzionale dopo l’intervento e a un incremento nella durata delle protesi. Le recenti innovazioni tecnologiche fornite dalle industrie (navigazione, robotica, realtà aumentata) si stanno affacciando anche in questa chirurgia: «Siamo in una fase di transizione – conclude Massè – e i vantaggi di queste innovazioni non sono ancora evidenti. È, però, verosimile che alcune tra queste nuove tecnologie in futuro dimostrino una reale efficacia nell’incrementare il tasso di soddisfazione dei pazienti definendo nuovi standard».