Uno studio europeo (Maleitzke T, Barthod-Tonnot N, Maziak N, Kraus N, Tauber M, Hildebrandt A, Pawelke J, Eckl L, Mödl L, Thiele K, Akgün D, Moroder P. Non-Invasive Bracing of Acromioclavicular Joint Dislocations is not Superior to Early Functional Rehabilitation and not Inferior to Surgical Stabilization in Rockwood type III and V Injuries. J Shoulder Elbow Surg. 2024 Oct 21:S1058-2746(24)00771-7. doi: 10.1016/j.jse.2024.08.040. Epub ahead of print. PMID: 39442863) ha confrontato i risultati del trattamento conservativo con tutore di Kenny Howard in lesioni acromion-clavicolari RW3 e RW5 (classificazione Rockwood) rispetto ai risultati ottenuti da soggetti con lesioni simili ma trattati chirurgicamente o con riabilitazione precoce.
La ricerca, condotta da un team di studio europeo, è stata pubblicata nel 2024 sul Journal of Shoulder and Elbow Surgery 2024. Per comprendere meglio gli esiti dello studio, è importante inquadrare la tipologia di lesione a cui fa riferimento.
Lo facciamo con Roberto De Pamphilis, responsabile della Divisione di Chirurgia della Spalla all’interno dell’Unità Operativa di Ortopedia e Traumatologia I degli Istituti Clinici Zucchi di Monza.
«La spalla è composta da tre ossa: scapola, omero e clavicola. La parte della scapola che forma la parte superiore della spalla si chiama acromion. L’articolazione acromion-clavicolare è localizzata dove l’acromion incontra la clavicola. I legamenti acromion-clavicolare superiori e inferiori e la capsula circondano e supportano l’articolazione e la stabilizzano. Altri due legamenti extra articolari, i legamenti coraco-clavicolari, mantengono in basso la clavicola ancorandola a una sporgenza ossea della scapola, chiamata processo coracoideo: essi sono il legamento conoide e il trapezoide. La lussazione della clavicola consiste in una rottura dei rapporti articolari tra acromion e l’estremità laterale della clavicola provocandone uno spostamento che può essere variabile in base alla lesione di alcuni o tutti gli elementi stabilizzatori di questa articolazione».
Una lesione frequente negli sportivi
Questo tipo di patologia rappresenta circa il 12% di tutte le lesioni della spalla, con una grande incidenza di traumi di tipo sportivo.
«Secondo il più grande studio epidemiologico esistente in letteratura di Nordqvist e Petersson (pubblicato sul Journal of Shoulder and Elbow Surgery nel 1995), l’incidenza della lussazione acromion-clavicolare è di 1,5 x 10.000 abitanti maschi in un anno mentre è di 0,2 x 10.000 abitanti femmine in un anno», afferma il dottor De Pamphilis. «Sono quindi traumi abbastanza frequenti (circa il 12%), su tutte le lesioni della spalla. La maggior parte di questi (circa 43%) sono traumi sportivi e, in particolare, da contatto o a rischio di caduta sulla spalla (bicicletta, calcio, basket, pattinaggio e poi rugby, sci, motociclismo). Altre cause sono: incidenti stradali (circa 32%), cadute accidentali, traumi sul lavoro, aggressioni (circa 26%). L’articolazione acromion-clavicolare è suscettibile intrinsecamente a lussazione in quanto disposta in maniera inclinata e quindi può ricevere facilmente forze di taglio trasversali con dislocazione dell’acromion medialmente e verso il basso rispetto alla clavicola (la quale è meglio stabilizzata dall’articolazione sterno-clavicolare); la forza traumatica, impattante dall’alto al basso sull’apice della spalla ad arto accostato al torace e addotto (come, per esempio, durante una caduta dalla bicicletta) abbassa bruscamente l’omero e sposta la scapola medialmente e la clavicola risale a causa dell’azione dei muscoli. Quanto alle fasce di età, proprio perché più frequenti in sportivi spesso agonisti, questi traumi si verificano nella maggior parte dei casi in media in un’età compresa tra 20 e 45 anni con incidenza maggiore sotto i 30 anni».
Trattamento conservativo vs chirurgia
I trattamenti adottati variano in base al tipo di lesione. «Nel tipo I e II – ricorda De Pamphilis – il trattamento è sempre conservativo. Nel tipo III la scelta è controversa ed è determinata, secondo me, dalla decisione del chirurgo ortopedico che prenderà in considerazione i numerosi fattori in gioco, tra cui per esempio l’età, la gravità dei sintomi, il tipo e il livello di sport praticato. A questo riguardo, nella letteratura corrente vi è una carenza di studi con evidenza scientifica elevata (Ia/Ib) che possano dimostrare l’utilità e l’efficacia di un determinato trattamento, chirurgico o conservativo, per questa patologia traumatica. Alcuni studi (la maggior parte però di media o debole qualità ed evidenza scientifica) dimostrano che non vi sono differenze statisticamente significative tra chirurgia e uso di un tutore, mentre altri dimostrano l’efficacia del trattamento chirurgico, specie in pazienti sportivi e con alte richieste funzionali high sports demands. Questo anche per prevenire ulteriori danni a carico della spalla e risolvere meglio il quadro sintomatologico e i potenziali disordini muscolari del torace e della spalla che causano algie scapolari, al collo e al dorso. La critica che viene fatta all’indicazione chirurgica, anche in sportivi agonisti, riguarda il fatto che molti di questi pazienti con grado III non operati riuscivano a eseguire il gesto sportivo meglio di altri operati, nei quali si poteva riscontrare un recupero non completo della forza e della resistenza dei legamenti acromion-clavicolari. In realtà un importante studio di metanalisi sull’evidenza di base corrente sulle lesioni di tipo III e condotto da Smith T. e colleghi (pubblicato su J. Orthop Traumatol. nel 2011) ha concluso che la gestione chirurgica ha migliori risultati in termini estetici, ma necessita di un maggior tempo di guarigione e non vi sono differenze significative per quanto riguarda forza, dolore, abilità di lancio e incidenza di artrosi acromion-clavicolare rispetto alla gestione conservativa. Attualmente, in base alla mia esperienza e da statistiche internazionali, il tipo III è trattato conservativamente in circa l’80% dei casi e chirurgicamente in circa il 20% dei casi.
Trattamento chirurgico nel tipo IV, V, VI
De Pamphilis prosegue osservando che nelle lesioni di tipo IV, V, VI il trattamento chirurgico è unanimemente raccomandato in letteratura anche per il rischio di lesioni associate.
«In questi casi l’intervento non ha solo un’indicazione estetica (spesso richiesta dallo stesso paziente) ma anche, e soprattutto, funzionale e andrebbe effettuato il prima possibile dopo il trauma. Per quanto riguarda la mia esperienza, penso che nel tipo III la decisione debba variare da caso a caso e che sia necessario tener conto delle caratteristiche del paziente, incluso il tipo di sport e il livello di gioco; nella maggior parte dei casi, nel tipo III riservo la chirurgia quando fallisce il trattamento conservativo e cioè se persistono il dolore e le limitazioni funzionali. Il trattamento conservativo dovrebbe avere una durata minima di 6-12 settimane.In una minoranza di casi ben selezionati, invece, in particolare per giovani atleti agonisti che praticano gesti sportivi di lancio over head high demanding, effettuo la stabilizzazione chirurgica. In questi casi, però, preferisco intervenire tempestivamente e cioè entro 2 settimane dal trauma (meglio entro pochi giorni) e con la tecnica artroscopica mininvasiva; il vantaggio consiste in un trauma inferiore ai tessuti molli e nell’assenza di prelievo tendineo dallo stesso paziente. In questi casi la precocità dell’intervento e la corretta tecnica chirurgica sono gli elementi essenziali per sfruttare al massimo le capacità riparative autologhe della capsula e dei legamenti lesi, utilizzando solo dei piccoli bottoni in titanio e fili di altissima resistenza tra clavicola e coracoide per la riduzione della clavicola e con precoce ripresa funzionale. Nelle lesioni inveterate invece la cronicità della lesione stessa preclude la disponibilità di legamenti da suturare o riparare e pertanto la tecnica chirurgica non è riparativa ma ricostruttiva ed è mini-open. Nello specifico, dal 2013 utilizzo in questi casi una tecnica anatomica, da me perfezionata e personalizzata, denominata coracopessi, con associata ricostruzione acromio-clavicolare mediante tendine biologico autologo e rinforzo artificiale a basso profilo. Al momento ho avuto risultati clinici e radiografici molto soddisfacenti e vari vantaggi rispetto alle numerose altre tecniche chirurgiche esistenti: minore incidenza di complicanze e recidive a medio termine, non utilizzo di mezzi di sintesi metallici o polimerici (viti), piccoli tunnel ossei e, soprattutto, una ricostruzione anatomica di tutti i legamenti lesi con migliore stabilizzazione della clavicola sul piano sia verticale sia orizzontale.