Mano bionica, oltre la presa tridigitale

2688

La mano protesica antropomorfa, perfettamente funzionale e capace di riprodurre le infinite possibilità di movimento di una mano in carne e ossa, è un traguardo prossimo. Dopo la protesi funzionale a energia esterna o mioelettrica per amputazione d’arto superiore, che in quarant’anni di applicazioni ed evoluzioni ha segnato importanti traguardi in campo protesico, arriva la mano bionica o antropomorfa capace di prestazioni ancora superiori. Un dispositivo già usato con successo da molte persone in Italia. Il Centro Protesi Inail di Vigorso di Budrio ha applicato le prime mani bioniche. «Sono serviti circa due anni di sperimentazione sui principali modelli in commercio prima di dare l’ok alle prime applicazioni», racconta l’ing. Gennaro Verni, direttore tecnico dell’Inail di Vigorso di Budrio (BO). Uno dei primi pazienti aveva subito un’amputazione bilaterale trans radiale: il riscontro è stato molto positivo. La mano bionica ha funzionalità prossime a quelle dell’arto naturale quanto a possibilità e velocità di presa e libertà di movimento; tutto questo la mano mioelettrica non è in grado di offrirlo».

Dagli anni ‘60 a oggi la ricerca ha fatto molta strada, con dispositivi sempre più evoluti ma sempre a presa tridigitale, ossia con tre dita attive (pollice, indice, medio) e due passive. Il pollice in opposizione alle altre due dita attive garantisce una presa efficace, che però non permette tutti i tipi di presa ottenibili con l’arto naturale.

La presa totale

L’obiettivo della presa totale è stato raggiunto motorizzando ciascun dito della mano. Nella mano bionica ogni dito ha un micromotore attivabile singolarmente per effettuare un particolare tipo di presa: per esempio, si può attivare l’indice chiudendo le altre dita per battere sulla tastiera del computer. Per il paziente ciò significa ottenere un livello di autonomia che in passato era difficile raggiungere. Questo miglioramento permette di ridurre le varie strategie di compenso che il paziente deve attivare nel caso della protesi a presa tridigitale (movimenti particolari della spalla o del gomito per adattare la presa della mano all’oggetto). «Con la protesi antropomorfa o bionica ciò non è necessario perché sono le dita della mano ad adattarsi automaticamente all’oggetto su cui devono andare in presa», spiega Verni.

Il futuro si gioca sul segnale

Notevoli progressi, dunque, ma per raggiungere la complessità funzionale dell’arto naturale serve tempo. «Il problema» commenta Verni «è la disponibilità di un numero tale di segnali da poter attivare contemporaneamente le diverse dita. Per ora è possibile solo rilevare due segnali: uno per la chiusura della mano e uno per l’apertura. Il segnale viene poi elaborato dal processore di bordo in modo da attivare le singole dita. La prossima frontiera è l’uso del segnale proveniente direttamente dal nervo o da più nervi: a questo risultato non siamo ancora vicini, risultati apprezzabili non si avranno prima di qualche anno».

Roberto Tognella