Coxalgia, il segreto è la mininvasività

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Coxalgia, il segreto è la mininvasivitàIl ricorso a interventi il meno possibile aggressivi e in virtù dei quali è possibile abbreviare in misura significativa i tempi di riabilitazione o recupero è una delle tendenze più importanti della chirurgia moderna per la risoluzione delle coxalgie, in linea con il protocollo fast track.

Il dolore dell’anca o coxalgia può derivare come è noto da cause delle più disparate, a seconda che esso si manifesti in età pediatrica o adulta e a seconda, quindi, delle sue possibili scaturigini: da un’incipiente artrosi sino a traumi di origine sportiva e non da ultimo posturali.

Per orientarsi nei meandri delle varie possibili manifestazioni della coxalgia, ma anche se non soprattutto alla scoperta delle strategie chirurgiche e terapeutiche disponibili per risolverla in modo definitivo, Ortopedici&Sanitari ha dato la parola a Giovanni Bonaspetti.

Il dottor Bonaspetti è infatti il responsabile della Ortopedia II presso l’Istituto Clinico Sant’Anna di Brescia. In prima battuta, ha cominciato con il descrivere una serie di distinguo. «La problematica della coxalgia», ha esordito il dottor Bonaspetti, «non ha oggi un’incidenza maggiore rispetto a quella calcolata in passato. Quel che invece è cambiato e sta ancora cambiando sono le relative tecniche di trattamento e di chirurgia, posto naturalmente che il dolore può avere diverse cause ed essere la spia di problemi diversi, fra gli adulti e i bambini».

Giovanni Bonaspetti

Nella circostanza in cui essa si manifesti presso i più piccoli, le possibili origini sono sostanzialmente due.
«Gli imputati principali», ha proseguito Giovanni Bonaspetti, «sono in ambito pediatrico i problemi di tipo vascolare del nucleo di accrescimento della testa del femore, in primis. A seguire, le infezioni dell’articolazione, discretamente frequenti, e suscettibili di un trattamento per via antibiotica o con un intervento di lavaggio del materiale purulento dall’articolazione».

Artrosi e altre concause

Particolarmente acuti, al punto da sopirsi solamente quando il soggetto torna a uno stato di pressoché totale riposo, sono i dolori alle anche provocati – questa volta chiaramente in età più avanzata – dall’artrosi, che è anzi «la causa principale» della coxalgia negli adulti.
«Provoca dolori diffusi», ha spiegato Bonaspetti, «che, a partire in modo particolare dall’inguine o dal gluteo, tendono a irradiarsi in direzione del ginocchio. Non di rado si confonde questa forma di dolore irraggiato tramite il nervo otturatorio con quello del ginocchio. Una delle tipicità della coxalgia di origine artrosica è il fatto di essere un dolore meccanico e che aumenta cioè di pari passo con l’utilizzo dell’articolazione stessa, riducendosi invece quando si è in condizione di riposo. Al contrario, un acutizzarsi del dolore al momento del riposo è generalmente l’indicatore di un dolore neuropatico».

D’altra parte, nei suoi vari aspetti l’artrosi è sempre influenzata da un percorso di tipo degenerativo, come lo stesso Giovanni Bonaspetti ha effettivamente confermato.

«L’artrosi è riconducibile a una degenerazione ed è tendenzialmente di origine meccanica. L’artrosi secondaria è quella attribuibile a traumi, infezioni, patologie pregresse e magari non perfettamente guarite. In linea generale, e specie per l’artrosi primaria, è fondamentale la conformazione dell’articolazione. Più la conformazione dell’articolazione è armonica, minori sono i rischi degenerativi, perché è la stessa morfologia a influenzare l’usura. Se poi l’articolazione è interessata da disturbi del carico, il declino è persino più rapido. Non vanno infine dimenticati i problemi della displasia, che è sovente responsabile di eventi di artrosi precoce, in maggior misura quando non è stata affrontata a dovere in età pediatrica».

Trattamenti e recupero

Poche sono le possibilità di contrastare in modo efficace l’insorgenza della coxalgia quando essa è causata dall’artrosi e in questo caso il consiglio è evitare tutte le attività professionali e sportive – podismo, discipline di contatto – che possano accrescerne l’usura. La strategia terapeutica non può che limitarsi al buonsenso. Nelle circostanze in cui un’operazione si riveli non soltanto praticabile ma anche inevitabile, dato l’elevato gradiente di usura dell’articolazione, le strade percorribili sono differenti.

«Al centro», ha ricordato Giovanni Bonaspetti, «ci sono sempre l’impianto di una protesi ossia la sostituzione chirurgica della testa del femore e dell’acetabolo. Nei soggetti più giovani si tende a conservare la maggior parte possibile di osso; molti sono i possibili posizionamenti, nel tentativo di contenere al massimo il pericolo di danneggiare i tessuti molli circostanti».
Passando all’effettivo inserimento della protesi, Giovanni Bonaspetti ha sottolineato che «l’accesso postero-laterale e l’accesso anteriore sono i più utilizzati per la protesi dell’anca».

Questo per una ragione precisa: «si tratta di accessi cosiddetti mininvasivi, praticati cioè senza recidere i muscoli né i tendini, bensì passandovi attraverso. Senz’altro, sono complicati e delicati e richiedono un’attenzione estrema. Sono allo stesso tempo gli accessi prediletti perché consentono di tornare a camminare poche ore dopo l’intervento».

La rapidità prima di tutto

La velocità con la quale è oggi possibile per un paziente ritornare alle attività del quotidiano è frutto sì degli avanzamenti della chirurgia in sé e per sé, ma anche della rivoluzione che ha attraversato i protocolli preoperatori, perioperatori e naturalmente postoperatori.
«Tutte queste fasi», ha chiarito Giovanni Bonaspetti, «sono attualmente oggetto di un’attenzione superiore a quella che comunemente vi si dedicava in passato. Il concetto principe è quello del fast track. Implica che il paziente sia ancora più adeguatamente informato circa le caratteristiche dell’operazione che deve subire e che già in precedenza sia stato istruito su un aspetto solo in apparenza banale ma in realtà decisivo, come il corretto uso delle stampelle».

Certo, la parte farmacologica resta importante, con l’utilizzo di farmaci che riducano il sanguinamento.
Gli anestesisti, che praticano solitamente solo un’anestesia peridurale o spinale, sono di supporto al soggetto anche nella gestione delle fasi postoperatorie.
«Il giorno stesso o quello successivo all’intervento», ha sottolineato l’intervistato, «l’individuo deve iniziare ad alzarsi e muovere qualche passo; a dare il via alla vera e propria riabilitazione».

La dimissione autentica avviene di consueto attorno al quinto giorno ma qualora il paziente – è il caso soprattutto di alcuni anziani – debba permanere in ospedale per vari motivi, resta fermo il ricorso al fast track. Perché «più breve è il tempo trascorso allettati e minori sono i rischi di contrarre infezioni polmonari o delle vie urinarie; di trombosi e altro». L’intervento ha dunque più probabilità di riuscita, senza contare i risparmi a favore del servizio sanitario».

Un approccio corale

La strategia terapeutico-chirurgica vanta dunque nel complesso un’efficacia superiore e ciononostante ha per certi versi un superiore livello di complessità. Il motivo risiede nel fatto che l’approccio richiesto è di natura multidisciplinare. Coinvolge cioè il chirurgo e i fisiatri ma anche gli anestesisti, come si è detto, e i tecnici della riabilitazione.

La coralità del percorso prosegue anche dopo la dimissione. Gli anziani vengono forniti di protocolli riabilitativi da seguire per lo più in palestra e sotto una guida esperta; i più giovani possono invece osservarli in completa autonomia. Questi ultimi sono anche i più esposti ai rischi di coxalgia originata dal danneggiamento di alcune porzioni della cartilagine, dovuta a eventi di ordine traumatico o vascolare.

«Eventuali patologie delle parti molli», ha concluso Giovanni Bonaspetti, «si esaminano in prevalenza mediante risonanza magnetica o artro-risonanza. Richiedono trattamenti conservativi o il ricorso all’artroscopia; e analogamente sono trattati i cosiddetti conflitti femoro-acetabolari. La riabilitazione è fortemente basata sulla tipologia della lesione ed è ormai veramente personalizzata sulle caratteristiche personali del paziente come l’età o il peso. Anche per questo ogni percorso deve essere costruito con un fisioterapista».

Roberto Carminati